martedì, giugno 30, 2015

Animali da stadio

Sabato sera, semifinale di Super Rugby qui a Welly.
Siamo in quattro stasera, birre d'ordinanza in mano ed occhi sgranati per quello spettacolo bellissimo che e' uno stadio pieno e festoso.

Ovviamente qui non ci sono poliziotti in giro, i bambini corrono agitando le loro bandierine in mezzo ad omaccioni avvinazzati ma contenti, gli alcolici sono in vendita a tutte le bancarelle, nei bagni c'e' la carta igienica e ci sono pure un paio di sportelli bancomat, tanto per far stramazzare al suolo il povero tifoso italiano, abituato a stadi ed atmosferre leggermente diversi.

Noi ci sediamo uno accanto all'altro e beviamo e chiacchieriamo ed ascoltiamo lo speaker. Ed intorno a noi lo stadio piano piano si riempie. Sale il brusio, aumentano i colori, su tutti il giallo ed il nero della nostra squadra, i giocatori rientrano negli spogliatoi. Il contrasto tra il campo, verdissimo e vuoto, e lo stadio, brulicante e rumoroso, e' netto come una lama.

E' il momento dell'attesa, il punto esatto in cui realizzi che sei li', sei presente e sta per iniziare un qualcosa di grande. Il momento in cui noi, vecchi animali da stadio, veniamo sempre travolti quell'emozione intensa, inconscia ed inspiegabile che ci accomuna e ci identifica ovunque.

Per questo smetto per un attimo di chiacchierare con la Vale, mi allungo oltre lo Stregone e scuoto lievemente la spalla del Joker: perche' in quel preciso momento anche lui, come me, ha i brividi sulle braccia e quel luccichio nell'occhio che riconoscerei ovunque.

Ci guardiamo ed annuiamo, con un mezzo ghigno che ci affiora sulle labbra senza volerlo, perche' gli animali da stadio lo sanno cosa stanno provando: sono tesi, pronti, concentrati.
Si sta per iniziare, ma per un ultimo momento tutto e' ancora in bilico.
E noi ci sentiamo vivi.


mercoledì, giugno 17, 2015

L'estate infinita di Serravalle

Ieri un altro pezzo della mia infanzia se n'e' andato. E' inevitabile che i nonni rimangano con noi solo per un breve, a volte brevissimo, pezzo del nostro cammino, ma i ricordi che ci hanno dato restano li' per sempre, come giorni assolati di un'estate senza fine.

Ieri abbiamo dovuto salutare la Cesarina (La Cesarina e non semplicemente Cesarina, che per noi gli articoli sono tutto), la vicina di corte dei miei nonni e a sua volta nonna di un'altro terribile maschiaccio - nonche' capo brigata per eta' e immaginazione sfrenata - della nostra combriccola di bambine di quell'aia la' a Serravalle.

La Cesarina mi ha introdotto all'arte dell'acqua frizzante fatta con le bustine, la Cristallina? o Brillantina? Non ricordavo il nome allora e non lo ricordo adesso...ma tutti la usavamo e ne andavamo fierissime: cioe' mica e' cosa da tutti i giorni buttare una polvere bianca dentro l'acqua del rubinetto e farla diventare meglio della Ferrarelle,eh.
Soprattutto, pero', sua era l'invenzione della bevanda mitica della mia infanzia: il succo di frutta al latte. Nel senso che prendeva un succhino delle bottigline di vetro, rigorosamente pera o pesca o albicocca, e lo rovesciava in un mezzo bicchiere di latte freddissimo. Una bella mescolata col cucchiaio et voila', una goduria infinita!!! Ed altrettanta infinita fonte di mal di stomaco, specie nell'acidissima accoppiata con la merenda a pomodoro strusciato sul pane.

La casa della Cesarina era speculare ma un po' diversa a quella dei miei nonni, che le dava un'aria piu' misteriosa. In piu' aveva una pericolosissima passarella senza ringhiera che dava sulla seconda rampa di scale ed ovviamente la Cesarina era sempre preoccupatissima che ci andassimo a giocare, magari a vedere se potevamo saltare da li' al piano di sotto con un sacchetto della spesa a farci da paracadute. (true story, ma di solito usavamo i cigli dei campi terrazzati, tranquilli).
Quindi, dato che lei camminava col bastone, si era inventata (o l'aveva inventato mio nonno, o forse l'Elena) di essersi fatta cosi' male cadendo dalla passarella e che la stessa sorte sarebbe toccata pure a noi, se non smettevamo di andarci a giocare.
Devo confessare che ancora oggi questa rimane l'unica spiegazione che ricordo del fatto che la Cesarina sia sempre dovuta andare in giro con un bastone.

La Cesarina, poi, aveva questi capelli lunghi e biondi che io non sono mai riuscita a vedere sciolti. Erano sempre raccolti stretti stretti in uno chignon a banana super stiloso. Talmente tanto che la Federica le aveva chiesto di fargliene uno uguale per un matrimonio, e stava benissimo!

La Cesarina, soprattutto, ci voleva bene.
A tutte noi bambine dalle ginocchia sporche e i capelli aggrovigliati e pieni d'erba, che le piombavamo in casa a tutte le ore a chiedere cibo, bevande o storie.
E lei che sembrava sempre la piu' seria, la piu' severa, ci ha portate con se' nel suo cuore per tutti questi anni, considerandoci tutte come "le sue bimbe".

E' difficile dover dire addio ad una persona che non vedi da anni ma che e' parte cosi' integrata di tutti i ricordi belli della tua infanzia.
Anzi, la realta' e' che non si puo' proprio: la Cesarina per me e' sempre la', nell'aia assolata di Serravalle, che ci guarda giocare a Bud Spencer e Terence Hill, godendosi l'ultimo sole. 
E se mi fermo un attimo ed ascolto bene bene, riesco anche a sentire l'inconfondibile e ritmato toc-toc-toc del bastone sulla pietra che preannuncia sempre il suo arrivo.

martedì, giugno 09, 2015

Quasi a casa

C'e' questo ristorantino nascosto da qualche parte in un sobborgo di una citta' degli antipodi.
Il locale e' un vecchio irish pub e siccome e' considerato 'storico' nessuno puo' cambiare i suoi interni, decorazioni di legno, vetri colorati e sedie comprese.

Pero' adesso e' un ristorante italiano, anzi un'osteria romana, e sulle sue  pareti abbondano vecchi poster di film di Sordi o foto Fabrizi e compagnia bella. Dalle casse escono canzoni di De Andre', De Gregori, Guccini, Conte.

Non mi chiedete perche', ma questo connubio di colture diverse crea un'alchimia perfetta, ti far venir voglia sempre di rimanere altri cinque minuti.

I gestori, cuochi, cantanti e tuttofare del posto sono un italiano ed un argentino e la passione per quel che fanno e' palese sia nei loro occhi che nel cibo che si inventano, cambiando il menu in continuazione: piatti semplici ma di antichi sapori, come la trippa o la pizza fritta o gli spaghetti alla bottarga e acciughe.

Cosi' capita che una sera d'inverno ti trovi invitata al compleanno di Andrea, la moglie di uno dei cuochi, personcina meravigliosa che ha appena varcato la soglia dei trent'anni ed ha ben pensato di fare una bella festa per tutti al ristorante. E' lunedi' sera - e gia' questo ti fa sentire bene, che con l'unica zia ristoratrice noi in famiglia s'e' sempre festeggiato tutto di lunedi', pure il mio matrimonio - e dietro le porte chiuse del locale ti aspettano pizze, vino ed un intero maialino allo spiedo. Si mangia in piedi tutto questo ben di dio, si ride, si conosce gente nuova e si salutano facce note.

Poi Giulio ed Emilio tirano fuori le chitarre e cantano senza fermarsi. Cantano canzoni popolari, canzoni che conosci anche se non le sai, anche se sono in un'altra lingua. Ti pare di sentire Dorme Firenze o Luna Rossa, come le cantavano i tuoi genitori con i loro amici alla fine di serate piene di vino e cibo nell'aia del nonno.

E tu, tu ti senti quasi a casa.
Quasi, perche' quel ristorante non e' la tua casa, e' la loro, ma e' una casa e come tale un posto un po' speciale. E quella sensazione di casa, di familiarita', di cose che ti appartengono e ti fanno star bene e' talmente forte in questa notte di lunedi' di inizio inverno che tu non puoi fare a meno di essere felice ed andartene a dormire con un bel sorriso stampato sulla faccia.


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