E vabbe', direte voi, e' Guerre Stellari, eri uscita soddisfatta pure da quell'ammasso di letame e jarjarbins che era la minaccia (per nulla) fantasma: come dice ZeroCalcare, noi che siamo cresciuti a pane, meraviglia e spade laser ci mettiamo un po' per ammettere che qualcosa di Guerre Stellari sia una colossale boiata.
Per questo ho aspettato il giorno dopo per scrivere le mie impressioni sull'episodio VII. Ci ho dormito sopra, ho letto le varie recensioni su internet, mi sono scambiata opinioni con gli altri nerd intorno.
E niente, la verità e' che ci ho ancora il sorrisone delle bambine piccole.
Ho voglia di rivederlo, ho voglia di vedere il seguito, ho sempre voglia di bruciare i prequels (sto parlando di magia, non miracoli).
Perche' ieri sera ho visto di nuovo e per la prima volta sul grande schermo un film di Guerre Stellari che sembra veramente un film di Guerre Stellari.
Ho visto dei personaggi nuovi che, pur dovendo reggere un confronto terribilmente impari con i mostri sacri della saga che gli recitavano accanto, si sono presi l'affetto del pubblico da subito.
Ho visto un'eroina bella e forte, di cui mi sono innamorata.
Ho visto di nuovo le atmosfere originali, con Xwing sporchi di fango e robot logorati dalle intemperie.
Ho visto fughe precipitose farcite di battute da smargiassi. E ho riso.
E si', si', ho pure visto i difetti grossi come incrociatori imperiali di cui parlano tutti: un po' più di coraggio ed originalità e sarebbe davvero venuto fuori il film che aspettavamo. Peccato.
Ma alla fine va bene così: l'emozione che c'e' stata quando sono partiti i titoli iniziali magari si sara' un po' affievolita verso il finale, ma e' rimasta comunque con me. Anzi, e' ancora qui, e per ora tanto mi basta.
Siamo a casa. Chi l'avrebbe mai detto, dieci anni fa.
(ah, e di lens flares ne ho contati solo due, se si considera pure quello nel poster del film. JJ il re dei trolls!)
Mentre il blog piu' o meno langue...ma oh, alla vigilia dei 10 anni mica vogliamo gettare la spugna, vero?...(e poi siamo a 501 posts! dove sono i vostri bicchieri di Vitamina R, in alto i calici!!!)
[pausa brindisi]
Dicevamo, mentre il blog langue ed il rum diminuisce dalla bottiglia, io continuo a dare i miei sporadici e spesso non richiesti consigli sulla vita a testa in giu' nell'ormai famoso sito di Viviana, il LILNZ, come lo chiamiamo affettuosamente noi della grande famiglia, che oggettivamente il nome per esteso e' troppo lungo... (Famoso, si', cosi' famoso che pure i Comites della Francia ci vogliono copiare!)
Sto giro, dato che le vacanze sono imminenti e la Viviana ha appena inaugurato un'altra sezione sui viaggi da fare partendo da quaggiu', io suggerisco la mia meta in assoluto preferita: le Isole Cook!
Che dite, vi va di scoprirle? Eccerto che vi va, che domande.
E quindi, su, un bel respiro e continuate a leggere qui...
PS. Se pure voi siete su questo scoglio o comunque avete voglia di scrivere un pezzo per una vacanza da fare partendo dalla NZ, leggetevi le due o tre regolette basi e mandate il testo via email a Viviana a leavingIT.livingNZ@gmail.com!
Nel nostro piccolo grande mondo nerd quest'anno Natale arriva in anticipo. Arriva con eserciti di cloni, navi stellari e spade laser con guardie di dubbio utilizzo, altro che slitte, renne e panzoni poco in forma sponsorizzati dalla cocacola.
E io ci ho provado, giuro, a far finta di essere una trentaseienne in carriera che si' per carita' bello l'amarcord ma nella vita ci sono cose piu' importanti. Che si' ok ho comprato i biglietti per il primo spettacolo, ma solo perche' davvero li ho visti per caso nel sito del cinema e ho pensato che potesse essere un divertente passatempo del giovedi' sera.
Io ci ho provato. Anche a giustificare in qualche modo il fatto che stiamo vedendo 6 film in 5 giorni, pure i film inesistenti, che grazie a dio non hanno mai girato veramente senno' sarebbero state delle boiate infinite.
Ma la realta' e' che c'e' un solo pensiero fisso in mondo nerd in questi giorni.
Ed e':'ti prego ti prego ti prego JJ non ci rovinare le feste.'
La realta' e' che io mi sono commossa a vedere volare di nuovo il Millennium Falcon, anche se per pochi secondi, anche se in un teaser su yuotube di tanti mesi fa.
La realta' e' che alla prima lens flare di troppo o al primo stupido pupazzetto in CGI che pretende di essere un alieno senziente, ho gia' pronte le taniche di benzina per dar fuoco al cinema. E questo include gli Ewoks, ovvio.
Insomma, la mia lettera a Babbo JJ quest'anno e' semplice, ho solo una richiesta: "Caro Geggei, siamo in tanti ad aspettarti. Se arrivi con un regalo di merda, sappi che la nostra vendetta sara' veloce e spietata. Con affetto, tutti i nerds del mondo."
E che l'aspettativa alle stelle la Forza sia con tutti noi.
PS. a rileggere sto post subito dopo l'ultimo che avevo scritto mi prende un attimo male, quindi tengo a precisare che ero ironica e non ho veramente intenzione di bruciare nessun cinema ne' di punire veramente un povero regista se fa un film brutto. Oddio, pero' magari una manciata di confetti Falqui nel caffe', ecco quello si' dai.
Un paio di giorni fa istalliamo il nuovo Fallout 4, ghignando felici all'introduzione - scene di eserciti in marcia alla vigilia di una guerra atomica mondiale- e ripetendo all'unisono con la voce fuori campo il "motto" del videogioco:
War, war never changes.
Ieri mattina accoccolati nel letto, ci godiamo la pigrizia del sabato guardando al pc la partita dell'Italia e parlando dei programmi del giorno. Programmi della quotidianità più pura: c'e' da passare l'aspirapolvere, fare la spesa, giocare a Fallout, passare la serata con amici.
Poi il telecronista, lievemente agitato, dice che appena finito il collegamento dallo stadio devono lasciare spazio ad un'edizione straordinaria del TG.
Edizione straordinaria, alle undici di sera. Gia' si capisce che non c'e' nulla di buono.
Poi inizia: immagini di guerriglia, stime di morti che aumentano ad ogni minuto, cronisti che fanno domande stupide perché non sanno come riempire il vuoto, l'attesa. Parigi colpita di nuovo.
L'immagine che più mi rimane dentro e' quella della gente nello stadio, sul campo di gioco, ore dopo la fine della partita: gente che si abbraccia, lo sguardo perso di chi non capisce come una serata di divertimento si sia tramutata in questo incubo. Irreale. Poche ore prima pure io avevo passato il mio venerdì sera allo stadio, con gli amici, bevendo birra e ridendo delle papere di un portiere.
E mi salgono i brividi.
Questa gente ha colpito persone normali nella loro quotidianità: uscendo da cena, andando allo stadio, ascoltando un concerto. Lo hanno fatto in maniera gratuita, in nome di un dio che non esiste, spinti da un odio che invece e' decisamente reale.
Ma la cosa peggiore, la cosa che mi ha fatto nascondere la testa fra le mani e' stata la mia prima reazione: vedendo quelle immagini, sentendo quei numeri, l'istinto più forte e' stato quello dell'odio.
Odio verso chi e' diverso da me, verso chi mi può colpire laddove mi sento più sicura, verso chi mi vuole spaventare. Annientiamoli, facciamoli sparire dalla faccia della terra.
Lo so, mi vergogno anche mentre lo scrivo, ma questa e' la realtà più diffusa di noi esseri umani: al tuo odio io so rispondere istintivamente ed immediatamente solo con altro odio.
La paura di chi e' diverso porta all'odio verso ciò che non si capisce, instaurando quel noi contro loro vecchio di millenni che porta solo ad una, inevitabile, conclusione.
Guerra.
Quando mi sono accorta di cosa stavo provando, mi e' venuto da piangere.
Perché dovrei ormai saper bene che si reagisce all'odio con altro odio non arriveremo mai ad una soluzione. Non riusciremo mai a capirci, a tollerarci, a convivere, ad evolverci come specie.
Ciononostante, ieri mattina io ho odiato persone che non conosco. E non solo quei mostri che hanno ucciso così tanta gente, loro continuo ad odiarli pure adesso, indipendentemente dalla loro nazionalità, credo o colore della pelle. Il problema e' che con loro ho odiato la loro cultura e tutte le centinaia di migliaia di persone - persone normali, persone con problemi, sogni e una quotidianità simile alla mia - che a quella cultura appartengono.
Forse la chiave dovrebbe essere proprio questa, cercare di non perdere contatto con il resto del mondo, capire che dietro l'atto mostruoso di pochi folli non si schiera e non si schiererà mai tutto un popolo. Ma vedendo quelle immagini e realizzando la rabbia e la paura che hanno suscitato, la speranza che si possa trovare una soluzione a questo divario colmo di odio che adesso sembra dividere così nettamente due culture e' sinceramente remota.
Ed e' cosi' che la storia si ripete da millenni: andare contro l'altra fazione per soldi, potere o supremazia, spesso in nome di un dio che non esiste e se anche ci fosse starebbe lassù a farsi i cazzi suoi senza nemmeno gettare uno sguardo su questo mondo che adora farsi del male.
Perche' la realtà e' davvero troppo simile al motto di un videogioco.
Perché la guerra, la guerra non cambia mai.
Vorrei raccontarvi un sacco di cose, dal Giappone che e' ancora piu' strano dal vivo che su cartone animato, alla cena con l'ambasciatore (che qui si frigge mica con l'acqua...) al weekend alcolico (ribadendo il fatto che non si usa molto l'acqua qui da noi...) insieme ai compagni di Reunion, ormai giunta alla sua gloriosa IV edizione.
E invece non ci ho voglia. Fatica. Uggia. Manco le foto delle vacanze ho trovato la forza di pubblicare (quelle vere, non i selfies del telefonino del post precedente).
Sara' la primavera.
Quindi nel frattempo, per colmare l'ansia da pagina bianca che mi ha colto, voglio soddisfare la vostra innata curiosita' su come si comprino le case qui agli antipodi. Che lo so che vi ci arrovellate cosi' tanto su questo quesito che non ci dormite la notte (nostra, ovvio)!
Come funziona quindi? Si va dal notaio? si ha tempo per pensarci? Naaaaaaah, she'll be right, mate!
Quindi ecco di seguito il post scritto dalla Marialuisa per il nostro LILNZ, in cui io al massimo massimo ho mandato commenti da far scrivere - ovviamente - a qualcuno con un po' piu' di energia e creativita':
"Comprare casa in Nuova Zelanda è un processo relativamente semplice e veloce. Diversamente da ciò che accade in Italia, non bisogna vendere un rene al mercato nero per pagare il notaio (perché qui il notaio non ce l'hanno!) e il mercato immobiliare è molto veloce (addio 6 mesi per vendere la vecchia casa, 3 mesi per il rogito, compromesso, giuramento, inchino, lettera e testamento).
Date le premesse sembrerebbero esserci indubbi vantaggi. Certamente meno sono le spese a fondo perduto, come ad esempio il notaio o la percentuale all'agenzia, che qui è a carico di chi vende. Se invece sei il compratore, è meglio per circa 1000/1500 dollari si assicura che la proprietà sia in regola presso il City Council. In regola significa: non ci sono costruzioni abusive, i confini della proprietà’ corrispondono a quelli sul progetto, i materiali di costruzione sono regolari, non ci sono ipoteche e/o rischi geologici eclatanti.
Ma, ovviamente, ci sono anche degli svantaggi e il principale è che non hai materialmente il tempo di girare, cercare, guardare, parlarne e confrontarti troppo a lungo. Devi già partire alla ricerca avendo in tasca un pre-accordo con una banca per un mutuo fino ad un massimo di totmila dollari. Dopodiché, con quella cifra in mente, inizi a cercare casa e se ne trovi una di tuo piacimento, ti conviene decidere in fretta, perché il giorno dopo potrebbe già essere stata venduta!
Ovvero come un solo libro di carta, nell'era della conquista del mondo da parte degli (utilissimi) ebooks, riesce a far ricordare a tutti noi lettori di lungo corso il perche' li abbiamo amati e li amiamo cosi' tanto, i libri.
E lo fa al primo sguardo, appena liberiamo questo malloppone dalla sua elegante custodia nera - rompendo il sigillo di carta invecchiata che lo unisce alla custodia come un cordone ombellicale - ed apriamo a caso una delle sue pagine.
La carta ingiallita, il vecchio font, l'impaginazione antica, gli stampi della bibilioteca, le macchie di umido, una cartolina del brasile che scivola fuori da una pagina e una mappa disegnata su un fazzoletto di carta che spunta da un angolo...e poi le note.
Note che riempiono i bordi delle pagine, si rincorrono con frecce e asterischi, una fitta conversazione fra due persone che si dipana in diversi spazi temporali, sovrapposti ma fluidi, identificabili facilmente dai diversi colori delle penne.
E tu sei gia' conquistata.
10-15 secondi e l'unica cosa che vorrai fare per le prossime ore e' accoccolarti sul divano e sfogliare questo libro moderno che sembra arrivato direttamente dalla tua adolescenza, carico di misteri che aspettano solo di essre risolti.
S., prima di tutto e forse soprattutto, e' una gioia per gli occhi. Ti aspetti quasi di sentire quell'inconfondibile odore di libro vecchio, vissuto, sfogliato e spiegazzato da innumerevoli dita che avevano i libri della biblioteca scolastica. E' ipnotico, non puoi fare a meno di continuare a sfogliare a caso, con vecchie foto in bianco e nero o note scritte fitte su fogli protocollo che minacciano di cadere da ogni parte.
Poi, ovviamente, inizi a leggere.
Come lo leggi? mi hanno gia' chiesto alcuni amici.
Beh, credo che anche questo sia volutamente lasciato alla decisione del lettore. Come leggevi le note in cui ti imbattevi nei libri in prestito? Dal punto diretto dove finiva la sottolineatura, arrivavi alla fine del paragrafo o ti leggevi tutta la pagina e poi le note?
S. e' un regalo agli amanti dei libri fatto da un amante dei libri (e della magia dentro ogni storia) e quindi ci lascia liberi di leggerlo come piu' vogliamo, di goderci a modo nostro e fino in fondo quest'esperienza che non sapevamo ci mancasse cosi' tanto.
In realta' e' chiaro che il libro un po' ti guida: sottilmente, attraverso il sovrapporsi delle note, lentamente dipana la seconda (o forse la principale?) storia raccontata in quelle pagine ingiallite. Ognuna di queste pagine sfogliate transmette il senso della scoperta su tanti livelli diversi ma interconnessi: dal mistero del passato racchiuso nelle parole battute a macchina al mistero di due persone che si aprono all'altro usando delle note a margine fino ancora al mistero in cui vengono trascinate, di nuovo e sempre da quel libro intorno a cui tutto gira.
(Si', a volte pure la mia testa).
S. e' un atto di amore incondizionato verso i libri. Raccoglie e ti trasmette l'essenza stessa del libro di carta, la sua caratteristica intrasmettibile all'ebook: quello di essere vivo, perche' vissuto.
Ogni nota scarabocchiata a margine, ogni sottolineatura, orecchia nell'angolo, macchia di caffe', ogni segno umano rende un libro unico, gli dona la sua personalita', gli regala un passato.
S. e' finto, lo, ma a volte si fa fatica a crederlo.
E adesso che cala la sera e sto per chiudere l'ufficio, l'unica cosa che ho in mente e' tornare a casa, accendere un fuoco ed accoccolarmi sul divano con il librone in grembo, pronta a farmi avvolgere dal mistero e stando attenta a non far scivolare via nessun biglietto nascosto tra le sue pagine.
I molti di voi che erano al nostro matrimonio (oddio, quasi 4 anni fa!), si ricorderanno le nostre collane fatte da un pendaglio di giada neozelandese. Quella dello stregone di forma allungata, a paletta, la mia arricciata come una treccia.
Sono dei gioielli speciali, ognuno con un significato preciso che affonda nella tradizione neozelandese.
E sono ancora piu' speciali perche' sono stati benedette dall'oceano, come vuole la cultura maori, e soprattutto ci sono stati regalati da persone che ci vogliono bene, la nostra ohana degli antipodi.
Ci accompagnano da quattro anni, io ormai non viaggio piu' senza la mia giada al collo. Sono un simbolo della nostra seconda patria.
Per questo ci tenevo molto a raccontarvi della giada neozelandese, il suo significato e la lunga tradizione che l'accompagna. L'ho fatto sul nostro blog sulla Nuova Zelanda, perche' E hoa mā, inā te ora o te tangata (Amici miei, questa è l'essenza della vita).
Dateci un'occhiata, se vi va di scoprire la greenstone e la sua storia antica.
PS.
Ieri sera, dopo aver scritto questo post negli ultimi 5 minuti in ufficio, ho chiuso tutto, mi sono infagottata nel piumino contro i venti del sud e sono andata a casa. Per trovare nella cassetta della posta, bagnata e sgualcita, una lettera dal ministero degli affari interni dove mi si diceva che la mia richiesta di cittadinanza era stata approvata. Sono una kiwi. Wow.
Ed oggi, sotto strati di maglioni, ho la mia greenstone al collo, a scaldarsi a contatto della mia pelle.
E' uno dei pensieri ricorrenti di noi quaggiu', a voce non ce lo diciamo quasi mai, ma diventa palese quando succede qualcosa d'importante o semplicemente se ci fermiamo a pensarci su, come fa la Viviana in questo bellissimo post, a cui voglio allacciarmi per cercare di spiegare cosa sia questa nostra strana Ohana neozelandese.
Ohana vuol dire famiglia. Ma noi che siamo da questa parte del mondo la famiglia l'abbiamo lassu' lontana; il nostro piccolo gruppo di parenti ed amici che e' stato da sempre il nostro nido, il nostro punto di riferimeno, il nostro appiglio sicuro nei momenti di difficolta', adesso e' dall'altra parte di due oceani. E si', e' ovvio che ci siamo sempre gli uni per gli altri, che la nostalgia e la voglia di stare insieme sono ancora forti e luminose come un diamante dentro di noi, ma nella vita di ogni giorno, inutile negarlo, non possiamo essere totalmente presenti.
All'inizio una pensa che ce la puo' fare anche da sola; in due, poi, in teoria siamo gia' una piccolissima famiglia, chi ha bisogno degli altri? Gli altri pero', piano piano arrivano. E ti entrano sotto la pelle. Sono kiwi, sudafricani, europei...ed italiani. Ti rendi conto che - forse involontariamente o forse no - ti stai circondando di persone con cui vuoi condividere la tua vita, a cui ti affidi nei momenti di bisogno, con cui passi Pasqua e Natale.
E' un tipo di amiciza particolare, che ti fa sentire tranquilla, protetta, parte di un qualcosa, in un posto che senti tuo solo da poco tempo.
Ed e' una sensazione ancora piu' forte se queste persone sono altri espatriati, molti di loro, ma non tutti, italiani come te. Ci riconosciamo nelle vicissitudini, nelle emozioni e nelle esperienze di queste persone un po' speciali, ci scegliamo a vicenda perche' stiamo bene insieme, come nelle amicizie piu' belle, ma piano piano il nostro rapporto diventa qualcosa di diverso, di collettivo.
Fai un colloquio di lavoro? Mandi un sms a casa che leggeranno fra ore e poi chiami subito noi qui.
Ti ricoverano all'ospedale per una puntura di vespa? Chiedi aiuto a qualcuno di noi qui.
Il tuo ragazzo ti lascia? Ti affidi subito alle amiche qui. Poi ne parli anche alle altre, quando si svegliano, quando stai un po' meglio.
Ci consideriamo 'amci' - e siamo pure stupiti dall'essere riusciti a creare una rete cosi' forte di amicizia al di la' del mondo ed alla nostra eta' - ma la realta' e' che siamo qualcosa di piu' gli uni per gli altri: tutti siamo disposti a dare quel briciolo in piu', siamo disposti ad aprirci quella frazione in piu', a passare sopra alle piccole cose a fare l'extra mile, il passo in piu', per poterci vedere, stare insieme, supportarci a vicenda.
Vorremmo vivere in una corte, per passare le serate 'a veglia' nel cortile comune come facevano i nostri nonni.
La verita' alla fine e' semplice: siamo una famiglia. Una famiglia dispersa da Auckland a Dunedin. Una famiglia sgangherata, che si conosce poco ma si capisce tantissimo. Una famiglia che abbiamo deciso di creare dal nulla, di comune accordo. Surrogata, non comparabile all'originale, ma bella e preziosa.
Dove nessuno viene lasciato indietro o dimenticato.
Con tipo un mesetto di ritardo, ma arrivo anche io a dire la mia sull'argomento.
Come spero tutti sappiate, il premio nobel Tim Hunt durante un discorso ad una cena di una conferenza se ne esce con questa simpaticissima (ma proprio tanto eh) battuta su cosa accade se ci sono donne nei laboratori:
“Let me tell you about my trouble with girls. ‘Three things happen when they are in the lab. You fall in love with them, they fall in love with you, and when you criticise them, they cry.”
"Fatemi raccontare dei miei problemi con le donne. Tre cose accadono quando ci sono donne in un laboratorio: ti innamori di loro, loro si innamorano di te e quando le critichi, loro piangono."
Ovviamente non mi metto neppure a discutere quanto possa essere fuori luogo un commento del genere, anche (o soprattutto?) se scherzoso, da parte di una figura scientifica prominente. Basta spulciare un paio di statistiche fornite da Google per vedere che le donne nel mondo della ricerca rappresentano solo il 12% dei ricercatori, vengono pagate meno e hanno piu' difficolta' a fare carriera: un terzo dei dottorandi sono donne ma solo 1 su 10 diventa professore universitario.
Insomma, Tim, tesoro, sei stato un bel pirla e ti meriti il ciclone mediatico che si e' creato intorno a te. Fra l'altro un ciclone bellissimo, cavalcato con grande ironia dalle ricercatrici stesse, che hanno coniato il fantastico ashtag #distractinglysexy e si sono messe a postare foto di loro al lavoro e di quanto in effetti possano essere sexy quando indossano una tuta isolante o hanno passato la notte a controllare un sismografo.
E' quando succedono cose del genere che adoro la rete, e la parte geniale dell'umanita' che sa prenderla con quella giusta dose di sarcasmo ed ironia. Il video qui sotto e' solo uno dei tanti che raccolgono un po' di quelle foto e mini video che hanno invaso la rete un mesetto fa:
Detto questo, pero', vorrei soffermarmi su quelle parole e su come sono state interpretate da tutti - all'inizio me compresa.
La prima cosa che salta agli occhi e che da' subito noia e' ovviamente la parte del fatto che uomini + donne a stretto contatto = innamoramento. Un commento di un sessista che scansiamoci tutti.
Passi tante ore insieme, hai probabilmente diverse cose in comune, beh, ci sta che ti innamori.
Come puo' succedere ovunque.
Perche' questo dev'essere un problema? Stara' un po' a te vedere se e' il caso di contenerti o no, come accade tipo in qualsiasi altro ambiente sociale: uffici, classi, palestre, facebook.
Quindi ovviamente la protesta maggiore e le foto migliori, nonche' lo stesso ashtag, si sono focalizzate su questa parte, che in effetti si colloca bene sulla via che potrebbe finire col famoso "se l'era cercata".
Ma a me, sinceramente, fa molta tristezza anche la seconda parte ed il modo in cui e' stata interpretata da tutte. "Se le critichi, loro piangono".
La mia prima reazione, allineata a quella del resto del mondo femminile, e' stato un bel vaffa. Noi mettiamo al mondo figlioli e sanguiniamo copiosamente una volta al mese, secondo te siamo cosi' deboli da piangerci addosso se qualcuno ci critica? E varie altre versioni sulla stessa linea: noi donne non siamo fragili e piagnone, sappiamo sopprtare le critiche, abbiamo piu' coglioni di voi (perche' spesso ce ne servono di piu') etc.
Beh, fatemelo dire. Questo discorso e' totalmente, incredibilmente e disperatamente sbagliato.
E' una delle cose che ti fa capire quanto ancora il mondo del lavoro sia lontano da una vera e propria parita' fra i sessi. Perche' noi tutti, uomini e donne, stiamo ancora crescendo in una cultura in cui l'ambiente lavorativo e' maschile. Anche in settori pieni di donne. E non lo e' solo per i fatti elencati prima: meno posti di lavoro, stipendi piu' bassi, difficolta' di far carriera. Questi sono dati macroscopici, chiari a tutti e a cui si puo' cercare di trovare rimedio.
Mentre e' molto piu' difficile trovare un rimedio per il pregiudizio inconscio che deriva dalla cultura in cui cresciamo. Ed questa cosa delle lacrime ne e' un esempio lampante:
Ditemi, cosa c'e' veramente di sbagliato se si reagisce ad una critica piangendo?
Sinceramente, perche' vi da' noia se una collega (o un collega) vi scoppia a piangere in ufficio dopo che l'hanno criticata?
Tu tieni al tuo lavoro, fai uno sbaglio, ricevi una critica - magari dura - e ti sfoghi da tutta la frustrazione e l'imbarazzo scoppiando a piangere. E' una cosa liberatoria, ti aiuta ad esternare emozioni brutte invece di interiorizzarle e soffrire e dopo magari ti senti meglio e pronta ad aggiustare la cosa.
Perche' invece viene visto come un problema (da parte di un uomo) o un'offesa (da parte di tutte le altre donne)?
Perche' e' un comportamento tipicamente femminile, stereotipato sulla più classica damigella in difficoltà, generalmente difficile da gestire - soprattutto da parte degli uomini, ma anche di molte donne - e quindi visto come una debolezza ed un'interruzione della normalita'.
Con la conseguenza di essere vissuto con disagio e quindi inconsapevolmente condannato da tutti come qualcosa di cui vergognarsi.
Ecco, finche' questo continua ad accadere, finche' le donne si dovranno, spesso incosciamente, travestire da uomini sul lavoro, non potremo mai avere una vera parita' nel mondo lavorativo, continuando a perdere quelli che io penso siano i benefici enormi dati dal poter finalmente creare una simbiosi tra il modo di pensare, agire e vivere maschile e quello femminile.
Ma come si cambia un modo di pensare così radicato anche nei paesi più all'avanguardia per i diritti sociali?
E quante generazioni ci vorranno ancora per cambiare tutto questo, ammesso che davvero si riesca a cambiare?
Era inevitabile che prima o poi lo stare per la maggior parte dell'anno a testa in giu' facesse confluire troppo sangue alla testa.
Testa che di conseguenza si ritrova a concepire le idee piu' assurde, specie quando si consulta con altre mirabili teste affette dalla stessa patologia.
Capiteci, non e' colpa nostra, e' colpa della gravita' (alla rovescia)!
Percio' ecco che in una bella domenica di sole, decido di giocare alla giornalista e mi ritrovo - con tanto di assistenza audiovideo professionale - in ambasciata a Wellington a fare due chiacchiere con Carmelo Barbarello, l'ambasciatore italiano in NZ.
Scherzi a parte, l'intervista venuta fuori e' carina ed interessante, sia per noi lontani sia per voi lassu', grazie alla disponibilita' dell'ambasciatore a rispondere anche a domande sulla sua vita privata.
Se vi va di perdere una mezz'oretta di tempo e guardarvela, cliccate sul link sotto la foto!
Una delle cose che io adoro di questa isola sperduta in fondo al
pacifico che e' la Nuova Zelanda paradossalmente e' spesso uno dei
problemi maggiori degli italiani quaggiu', ovvero il fatto che qui il concetto di cibo a km 0 non e' una bella idea, piu' teorica che pratica, che cerca di prendere piede in un mondo dove tutto e' a portata di mano. Al contrario, qui e' una realta' accettata e praticata probabilmente da sempre.
Il motivo? E' semplicissimo: quando ti trovi lontano
(assai) dagli altri grossi mercati, la frutta e la verdura non di stagione
viene a costarti un occhio della testa, anche considerando solo spedizione e dogane
varie. Percio' spesso ti ritrovi a fissare le zucchine nei supermercati che arrivano
a costare fino a 19 dollari nz (circa 11 euro) al chilo in
inverno; e gia' ti va bene, perche' altri prodotti 'meno comuni' non ci arrivano proprio sugli scaffali quando non e' la loro stagione. Poi pero' nello scaffale accanto hai cavolo e broccoli che ti devi scansare altrimenti te li tirano dietro. Allora tu che fai? Beh, impari ad arrangiarti con le
verdure in stagione. E se all'inizio e' difficile abituarsi a non avere
tutto e subito a disposizione come succedeva in Italia, poi diventa bello, naturale e quasi un gioco: oh guarda, sono arrivati i topinambur, dai
che tra pochi mesi e' stagione di carciofi, vedrai che a giorni ci sono
gli asparagi, dai, inventiamoci ancora una nuova ricetta con il cavolo
nero dell'orto!
E' strano riscoprire quanto sia piacevole di vivere in un posto dove devi aspettare la stagione giusta per gustarti un particolare frutto o una verdura. Sara' anche un vecchio luogo comune, ma il dover attendere per qualcosa la rende un pochino piu' speciale, giuro che mi son quasi ritrovata a far gli occhi dolci ad una busta di cavoletti di Bruxelles!
In piccolo, molto piccolo, e' come se la mia vita quotidiana da occidentale viziata abbia subito un rallentamento, anzi no, un cambio di ritmo: grazie alla permanenza su questo scoglio abbandonato in mezzo al mare mi sono dovuta adattare di nuovo al susseguirsi delle stagioni ed ho subito tutto il fascino del cambiamento ciclico, lento ma costante, del nostro pianeta....insomma, chi l'averebbe mai detto che pomodori, melanzane, fragole, mele e cachi avessero una storia cosi' affascinante da raccontarmi?
( Piatto del momento: pure' di topinambur con cavolo nero e cavolo cinese
dall'orto saltati in padella. E sopra una bella salsiccia toscana del mio butcher di
fiducia, che non ci sfigura mai, in nessuna stagione!)
Sabato sera, semifinale di Super Rugby qui a Welly.
Siamo in quattro stasera, birre d'ordinanza in mano ed occhi sgranati per quello spettacolo bellissimo che e' uno stadio pieno e festoso.
Ovviamente qui non ci sono poliziotti in giro, i bambini corrono agitando le loro bandierine in mezzo ad omaccioni avvinazzati ma contenti, gli alcolici sono in vendita a tutte le bancarelle, nei bagni c'e' la carta igienica e ci sono pure un paio di sportelli bancomat, tanto per far stramazzare al suolo il povero tifoso italiano, abituato a stadi ed atmosferre leggermente diversi.
Noi ci sediamo uno accanto all'altro e beviamo e chiacchieriamo ed ascoltiamo lo speaker. Ed intorno a noi lo stadio piano piano si riempie. Sale il brusio, aumentano i colori, su tutti il giallo ed il nero della nostra squadra, i giocatori rientrano negli spogliatoi. Il contrasto tra il campo, verdissimo e vuoto, e lo stadio, brulicante e rumoroso, e' netto come una lama.
E' il momento dell'attesa, il punto esatto in cui realizzi che sei li', sei presente e sta per iniziare un qualcosa di grande. Il momento in cui noi, vecchi animali da stadio, veniamo sempre travolti quell'emozione intensa, inconscia ed inspiegabile che ci accomuna e ci identifica ovunque.
Per questo smetto per un attimo di chiacchierare con la Vale, mi allungo oltre lo Stregone e scuoto lievemente la spalla del Joker: perche' in quel preciso momento anche lui, come me, ha i brividi sulle braccia e quel luccichio nell'occhio che riconoscerei ovunque.
Ci guardiamo ed annuiamo, con un mezzo ghigno che ci affiora sulle labbra senza volerlo, perche' gli animali da stadio lo sanno cosa stanno provando: sono tesi, pronti, concentrati.
Si sta per iniziare, ma per un ultimo momento tutto e' ancora in bilico.
E noi ci sentiamo vivi.
Ieri un altro pezzo della mia infanzia se n'e' andato. E' inevitabile che i nonni rimangano con noi solo per un breve, a volte brevissimo, pezzo del nostro cammino, ma i ricordi che ci hanno dato restano li' per sempre, come giorni assolati di un'estate senza fine.
Ieri abbiamo dovuto salutare la Cesarina (La Cesarina e non semplicemente Cesarina, che per noi gli articoli sono tutto), la vicina di corte dei miei nonni e a sua volta nonna di un'altro terribile maschiaccio - nonche' capo brigata per eta' e immaginazione sfrenata - della nostra combriccola di bambine di quell'aia la' a Serravalle.
La Cesarina mi ha introdotto all'arte dell'acqua frizzante fatta con le bustine, la Cristallina? o Brillantina? Non ricordavo il nome allora e non lo ricordo adesso...ma tutti la usavamo e ne andavamo fierissime: cioe' mica e' cosa da tutti i giorni buttare una polvere bianca dentro l'acqua del rubinetto e farla diventare meglio della Ferrarelle,eh.
Soprattutto, pero', sua era l'invenzione della bevanda mitica della mia infanzia: il succo di frutta al latte. Nel senso che prendeva un succhino delle bottigline di vetro, rigorosamente pera o pesca o albicocca, e lo rovesciava in un mezzo bicchiere di latte freddissimo. Una bella mescolata col cucchiaio et voila', una goduria infinita!!! Ed altrettanta infinita fonte di mal di stomaco, specie nell'acidissima accoppiata con la merenda a pomodoro strusciato sul pane.
La casa della Cesarina era speculare ma un po' diversa a quella dei miei nonni, che le dava un'aria piu' misteriosa. In piu' aveva una pericolosissima passarella senza ringhiera che dava sulla seconda rampa di scale ed ovviamente la Cesarina era sempre preoccupatissima che ci andassimo a giocare, magari a vedere se potevamo saltare da li' al piano di sotto con un sacchetto della spesa a farci da paracadute. (true story, ma di solito usavamo i cigli dei campi terrazzati, tranquilli).
Quindi, dato che lei camminava col bastone, si era inventata (o l'aveva inventato mio nonno, o forse l'Elena) di essersi fatta cosi' male cadendo dalla passarella e che la stessa sorte sarebbe toccata pure a noi, se non smettevamo di andarci a giocare.
Devo confessare che ancora oggi questa rimane l'unica spiegazione che ricordo del fatto che la Cesarina sia sempre dovuta andare in giro con un bastone.
La Cesarina, poi, aveva questi capelli lunghi e biondi che io non sono mai riuscita a vedere sciolti. Erano sempre raccolti stretti stretti in uno chignon a banana super stiloso. Talmente tanto che la Federica le aveva chiesto di fargliene uno uguale per un matrimonio, e stava benissimo!
La Cesarina, soprattutto, ci voleva bene.
A tutte noi bambine dalle ginocchia sporche e i capelli aggrovigliati e pieni d'erba, che le piombavamo in casa a tutte le ore a chiedere cibo, bevande o storie.
E lei che sembrava sempre la piu' seria, la piu' severa, ci ha portate con se' nel suo cuore per tutti questi anni, considerandoci tutte come "le sue bimbe".
E' difficile dover dire addio ad una persona che non vedi da anni ma che e' parte cosi' integrata di tutti i ricordi belli della tua infanzia.
Anzi, la realta' e' che non si puo' proprio: la Cesarina per me e' sempre la', nell'aia assolata di Serravalle, che ci guarda giocare a Bud Spencer e Terence Hill, godendosi l'ultimo sole.
E se mi fermo un attimo ed ascolto bene bene, riesco anche a sentire l'inconfondibile e ritmato toc-toc-toc del bastone sulla pietra che preannuncia sempre il suo arrivo.
C'e' questo ristorantino nascosto da qualche parte in un sobborgo di una citta' degli antipodi.
Il locale e' un vecchio irish pub e siccome e' considerato 'storico' nessuno puo' cambiare i suoi interni, decorazioni di legno, vetri colorati e sedie comprese.
Pero' adesso e' un ristorante italiano, anzi un'osteria romana, e sulle sue pareti abbondano vecchi poster di film di Sordi o foto Fabrizi e compagnia bella. Dalle casse escono canzoni di De Andre', De Gregori, Guccini, Conte.
Non mi chiedete perche', ma questo connubio di colture diverse crea un'alchimia perfetta, ti far venir voglia sempre di rimanere altri cinque minuti.
I gestori, cuochi, cantanti e tuttofare del posto sono un italiano ed un argentino e la passione per quel che fanno e' palese sia nei loro occhi che nel cibo che si inventano, cambiando il menu in continuazione: piatti semplici ma di antichi sapori, come la trippa o la pizza fritta o gli spaghetti alla bottarga e acciughe.
Cosi' capita che una sera d'inverno ti trovi invitata al compleanno di Andrea, la moglie di uno dei cuochi, personcina meravigliosa che ha appena varcato la soglia dei trent'anni ed ha ben pensato di fare una bella festa per tutti al ristorante. E' lunedi' sera - e gia' questo ti fa sentire bene, che con l'unica zia ristoratrice noi in famiglia s'e' sempre festeggiato tutto di lunedi', pure il mio matrimonio - e dietro le porte chiuse del locale ti aspettano pizze, vino ed un intero maialino allo spiedo. Si mangia in piedi tutto questo ben di dio, si ride, si conosce gente nuova e si salutano facce note.
Poi Giulio ed Emilio tirano fuori le chitarre e cantano senza fermarsi. Cantano canzoni popolari, canzoni che conosci anche se non le sai, anche se sono in un'altra lingua. Ti pare di sentire Dorme Firenze o Luna Rossa, come le cantavano i tuoi genitori con i loro amici alla fine di serate piene di vino e cibo nell'aia del nonno.
E tu, tu ti senti quasi a casa.
Quasi, perche' quel ristorante non e' la tua casa, e' la loro, ma e' una casa e come tale un posto un po' speciale. E quella sensazione di casa, di familiarita', di cose che ti appartengono e ti fanno star bene e' talmente forte in questa notte di lunedi' di inizio inverno che tu non puoi fare a meno di essere felice ed andartene a dormire con un bel sorriso stampato sulla faccia.
Mi direte, giustamente, non ci hai voglia di buttare tre righe di cavolate sul tuo vecchio e caro blog e ti offri volontaria per scrivere un'INTERA SEZIONE sulla vita a Wellington?
Eh.
Che poi e' ovvio che non ce la faro' mai, ci son cosi' tante cose che non so o che non mi vengono in mente o che penso non siano interessanti e invece lo sono.
Insomma, ho fatto il classico passo piu' grosso della gamba; pero' l'ho fatto per un buonissimo motivo, aiutare una cara amica nella sua impresa titanica di creare un sito figherrimo e allo stesso tempo pieno di notizie utili sulla vita in Nuova Zelanda. Un "tutto quello che volevate sapere su kiwiland" condensato in un unico sito. Senza scopi finanziari o di pubblicita' personale, solo tanta tanta passione e voglia di condividere la propria esperienza quaggiu'.
Capite anche voi che non potevo rifiutare di dare una mano!
E quindi QUI vi potete sbirciare il sito che sta nascendo - molto ancora in costruzione, ma gia' tante tante informazioni utili per tutti - e qui sotto, giusto un click away, la mia personalissima guida per un weekend a Welly che ho scritto per il sito!
Oh, se andate a sbirciare ed avete suggerimenti...scrivetemeli!
E' difficile scrivere in un post le fortissime emozioni che si provano in una mattinata di festa come quella che abbiamo vissuto sabato.
Prima di tutto ci sono i preparativi, che sono lunghi e a volte laboriosi, perche' vanno fatti nei ritagli di tempo che si trovano durante il giorno, perche' all'inizio ci credi poco pure tu, perche' non ti sembra possibile che la gente ti regali i suoi prodotti ed il suo tempo, condividendo il tuo entusiasmo in cio' che fai.
Poi c'e' il battage pubblicitario, dove ti senti quasi una Vanna Marchi della beneficienza, intasando le caselle email ed i social network con il tuo poster rosa che chiede a tutti aiuto per salvare le tette.
E ci sono millemila cose da ricordare ed organizzare e man mano che il giorno si avvicina aumentano le sere passate ai fornelli e le visite al supermercato.
Ad un tratto poi, ti rendi conto che la colazione sara' il prossimo weekend ed inizi a correre, organizzando le ultime cose e pregando perche' le previsioni del meteo migliorino, mentre da ogni dove continuano ad arrivare tanti e preziosi aiuti.
La tensione cresce costantemente: che succede se poi la gente non viene? Tutto questo ben di dio donato e se poi siamo solo 4 gatti? Come si fa a fare l'asta se siamo in pochi? Piaceranno i biscotti, gli olii, i sottopiatti in vendita? E gli oggetti dell'asta, riusciremo a venderli tutti? Oddio, non ho preparato il discorso!!!
Finche' ti ritrovi la sera prima, esausta ma super carica, la tensione che ti molla un poco, perche' tanto ormai e' andata, c'e' solo da aspettare il giorno dopo. In casa la famiglia e gli amici che ti aiutano ad impacchettare, infiocchettare e ancora cucinare...poi spegni le luci e vai a letto.
Ed arriva la mattina della colazione. E' tutta una corsa, e sempre e comunque hai tanti amici intorno a te a prepare, mettere le decorazioni, imbellire i tavoli, farti un sorriso.
Tutto e' pronto. Per un momento c'e' il silenzio, ci guardiamo in attesa.
E poi ecco che comincia ad arrivare la gente. Gente bellissima che porta ancora altri doni ed altro cibo, che compra felice biscotti e biglietti della lotteria, che si combatte a suon di risate e rialzi ogni singola cosa messa all'asta.
E' una festa. Le donne che chiacchierano e ridono. i bambini che si divertono
con la sabbia di Ginelle e gli uomini...nascosti in cucina!
E tu sei li con la pelle d'oca, perche' non sai bene come hai fatto a ricevere cosi' tanto aiuto e soprattutto tutta questa felicita' che ti sta intorno. Molte se ne vanno ringraziandoti della bella mattinata, portandosi via non solo i doni che si sono comprate od hanno vinto, ma soprattutto un bel sorriso stampato in faccia.
Ti dicono che e' merito tuo, tutto cio', ma tu sai che non e' vero: che tu una cosa del genere non saresti mai stata capace di farla da sola, che c'e' il lavoro, la passione e la generosita' di molti - alcuni anche sconosciuti - dietro tutto questo.
Tutto finisce, si mette a posto e si va casa, ma tu sei ancora felice. Una felicita' di quelle belle, che durano a lungo, che ti fanno rivedere in un'ottica diversa i banali problemi di tutti i giorni.
Fare del bene e' terapeutico e soprattutto ti fa ritrovare la fiducia nel genere umano...provate anche voi!
piu' di 2000 dollari raccolti. Che bella giornata!