martedì, giugno 18, 2013

Il Bofonchio

L'estate per me era quella passata dai nonni. Se chiudo gli occhi sono solo i ricordi di Serravalle che si accavallano nella memoria, talmente tanti e talmente vividi che si rincorrono, si spingono, lottano l'uno con l'altro per affiorare per primo ai margini delle mie sinapsi.
Razionalmente so che la maggior parte di quelle estati devo averla passata a Lucca, ma semplicemente quei ricordi sono troppo deboli e pigri per poter competere.

La mattina il sole filtrava dalle spesse persiane di legno verdi e di sotto in cucina si sentiva gia' l'odore del caffellatte scaldato nel pentolino sul fuoco. Correvo a piedi nudi sulla fredda pietra serena delle scale e mi fiondavo sulla colazione, dove la sfida di ogni giorno era riuscire a spalmare un manto di burro perfetto sulla fetta biscottata senza romperla. Piu' difficile da fare che da dire, e mi ritrovavo con la fronte corrucciata dalla concentrazione.

Poi ovviamente non c'era mai tempo per lavarsi, nonostante le proteste neanche troppo convinte della nonna, perche' le testoline della Sara e della Francesca stavano gia' spuntando dal viottolino dellla Villa e quindi era tempo di chiamare l'Elena, salutando in fretta i suoi nonni che abitavano nella porta accanto e poi correre su per le scale della grande casa colonica fino all'appartamento nella mansarda dove stavano le ultime due della brigata, l'Arianna e la Francesca. Che le Francesce nel nostro gruppo erano le sorelle minori, ovvero quelle che si prendevano sempre il ruolo di Tati quando giocavamo ad Occhi di Gatto.

Ci trovavamo tutte e sei nell'aia di pietra gia' inondata dal sole, e se proprio faceva caldo ci fermavamo all'ombra del grande cipresso, quello che forse era stato colpito da un fulmine tanto tempo fa ed aveva ancora un'enorme cicatrice sul tronco. A me quella storia del fulmine non mi aveva mai convinto molto, ma l'Elena era sicura e lei che era la piu' grande queste cose le sapeva,eh. E poi come disegnava bene lei il sole di Pollon, quello con la sigaretta in bocca, nessuna mai, proprio.

Poi giocavamo. Avevamo tutte le nostre borse di plastica piene di giochi, io ero forte per la Barbie e tutti i suoi accessori, l'Arianna invece aveva i pentolini piu' bellissimissimi, con addirittura la macchina del caffe' tutta in plastica gialla!
Con i pentolini facevamo le torte di fango e gli spaghetti di erba piu' buoni della storia, ma servivano anche per dubbi protoesperimenti scientifici, come quando riempimmo la pentola piu' grande con i girini del lago e la lasciammo fuori tutta la notte sperando di vederli diventare ranocchie.
La mattina dopo la pentola era rovesciata e i girini spariti. L'Elena disse che dovevano essersi sicuramente gia' trasformati in ranocchie, ma entrambe guardammo con molto sospetto la Mima - gatta arcaica di fattoria, madre padrona di infinite cucciolate e spietata assassina di rondoni e topi - che ci osservava sorniona da una panca all'ombra. Rileccandosi.

Ma i giochi piu' belli non avevano bisogno di supporti materiali, avevamo una fantasia incontrollabile in quei caldi giorni d'estate e uno spazio per giocare quasi infinito. E allora giocavamo ai cowboys con il bivacco segreto, al Libro della Giungla, Robin Hood, Miominiponi, Occhi di Gatto, Lilly ed il Vagabondo ed anche a "Bud Spencer e Terence Hill" tutti impersonati rigorosamente da noi, e che lotte per scegliere i personaggi!
Ed il periodo buio che segui' la visione del film "Anche gli angeli mangiano i fagioli" in cui l'Elena ed io ripudiammo l'amato Terence per Giuliano Gemma. Ma poi rinsavimmo e ci vergognammo molto per quella debolezza, sperando che Terence ci perdonasse.

Dopo il pranzo, la pasta con il burro e l'Ortolina era la preferita di sempre, c'era il momento piu' temuto della giornata: il riposo forzato. Fuori l'aria sopra l'aia vibrava e fremeva per il caldo e le cicale stridevano in un enorme concerto dissonante, ma era lo stesso un'impresa convincerci a stare in casa, ad andare a letto...a volte toccava pure scomodare la Vecchia della Cabina per farci riposare almeno un paio d'ore.

E poi di nuovo via, a correre, bisticciare, fare la pace, sparire a mezz'ore intere nel bosco giocando a nascondino finche' quello alla conta non si arrendeva urlandolo a squarciagola...e i ruzzoloni nel ciglio, i salti giu' dai terrazzamenti con i sacchetti di plastica che facevano da paracaduti, Strega Comanda Colori, Un due tre...Stella e non vale ti sei mossa l'ho visto! Fino a crollare dalla stanchezza, le ginocchia incrostate di terra ed erba, un taglietto in piu' sul braccio da succhiare via il sangue mentre la nonna ti accompagna a fare il bagno prima di cena.

Ma la giornata mica finiva li'. Dopocena, mentre gli adulti arrivavano a gruppetti alla grande casa colonica e si ritrovavano sotto la Capannina a giocare a carte o semplicemente a chiacchierare sui gradini delle case, noi tiravamo fuori le Barbie, montavamo le case, rovesciavamo i vestiti per terra e ci lanciavamo in folli storie collettive con troppe femmine e troppi pochi Ken, bisticciavamo ancora un po' ma di solito un paio di scarpe  giocattolo prestate risollevavano il morale, piccole donne che stavano crescendo...nel cielo le stelle brillavano limpide e la Mima si accucciava su uno dei mucchi dei vestiti e ci osservava distratta, un'altra delle sue cucciolate da tenere sott'occhio.

Ma poi d'improvviso arrivava lui, l'essere piu' temuto, l'unico in grado di farci scappare via terrorizzate e quindi essere facilmente convinte ad andare a letto: il Bofonchio. Che da noi cosi' si chiama il calabrone.
Lo annunciava quasi sempre il rumore del suo volo mentre pazzo per la luce si fiondava verso le lampade fuori e rimbalzava via in ampi giri sopra le nostre teste.

"Presto, veloci, raccogliete i vostri giochi e scappate in casa!" ci dicevano gli adulti, quel sorriso appena accennato sulle labbra che noi eravamo troppo spaventate per notare. E ubbidivamo solerti, forse per la prima volta in tutta la giornata.

Ma tanto poco importava.

Perche' sapevamo che ci saremmo di nuovo ritrovate sull'aia la mattina dopo e tutte le altre mattine a seguire ed avremmo continuato le nostre storie come se il Bofonchio non ci avesse mai interrotte, in quelle estati lontane che per noi avrebbero dovuto continuare per sempre.

La Domatrice (Lilia Migliorisi)
(PS. la foto qui sopra l'ho rubata senza chiedere all'illustratrice piu' brava e con il lavoro piu' sbagliato che ci sia, se non la conoscete vergognatevi subito e fatevi un giro nel suo blog!)

1 commento:

Caoticadentro ha detto...

...no cioè...io non posso aggiungere altro...un pò perchè è tutto perfetto...un pò perchè ho i lucciconi agli occhi e non leggo una mazza nulla...

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